Le
ricerche condotte in Mali riguardano essenzialmente gli sviluppi e
la struttura della medicina tradizionale dogon, la
logica dei culti di possessione in area urbana (Bamako), l’organizzazione e le trasformazioni della famiglia
e della società tuareg.
Per quanto riguarda la medicina tradizionale dogon, una serie di ricerche
era stata avviata precedentemente da alcuni membri della missione
già negli anni precedenti (si vedano i lavori dei membri della
missione), soprattutto sulle rappresentazioni e la cura dei disturbi
mentali e dell’epilessia, così come di altre affezioni
interpretate come la conseguenza di cause mistiche. Più recentemente
le ricerche, condotte nell’area semiurbana di Bandiagara e in
alcuni villaggi dell’altopiano e della falesia dogon (Donoban,
Sangha ecc.), si sono concentrate su alcuni rituali terapeutici, taluni
culti religioso-terapeutici e associazioni rituali (binu, nya, buffoni
rituali) e sugli effetti che i mutamenti (fra i quali quelli derivanti
dal massiccio impatto del turismo o di progetti di cooperazione) e
le ineguaglianze sociali stanno esercitando sulle rappresentazioni
del male e della malattia oltre che su quelle della stessa “identità
dogon”. Non è un caso forse che si assiste da qualche
tempo al crescente (ed esplicito) ricorso alla nozione di stregoneria:
l’immagine di armonia sociale, resa celebre dai classici, si
sta sgretolando lasciando emergere linee di conflitto, sospetti, lacerazioni
solo parzialmente governati. Nel privilegiare un approccio metodologicamente
rinnovato, non confinato alla sola “ragione etnologica”
(attenta alle eticità e alle identità culturali intese
spesso come entità immutabili) e sensibile alla voce degli
interlocutori, le ricerche in corso intendono mostrare in definitiva
come non si possa più parlare della “medicina tradizionale
o dell’etnopsichiatria dogon” come di saperi coesi e omogenei,
immaginati alla stregua di sistemi stabili o indipendenti dalle trasformazioni
(locali e globali) che investono la società nel suo insieme.
I suoi altari non possono essere “protetti” o salvati
che all’interno di uno sforzo complessivo assai articolato,
dove i protagonisti non possono essere certo solo i ricercatori stranieri.
La promozione della medicina tradizionale, diventata in molti casi
un puro fantasma degli organismi internazionali, deve in definitiva
incorporare nel suo studio dinamiche (religiose, economiche, istituzionali
ecc.) spesso trascurate, dinamiche spesso operanti come potenti fattori
di destrutturazione o comunque di cambiamento. Dallo studio della
solo logica simbolica di un sapere terapeutico si è condotti
dunque a comporre una complessa etnografia della sofferenza sociale,
dei saperi e delle istituzioni che vi danno risposta, dei conflitti
e delle identità sociali emergenti.
A tali ricerche partecipano, oltre a Roberto Beneduce
e Barbara Fiore, anche Nohoum Guindo
e Simona Taliani.
A Bamako le ricerche hanno cominciato a indagare
da qualche tempo l’organizzazione del culto di possessione
jiné don, del suo significato individuale, sociale e storico.
L’analisi delle sue espressioni vuole anche realizzare un
confronto con fenomeni quali la recente proliferazione delle chiese
evangeliche e gli sviluppi dell’Islam e delle sue associazioni.
Il ruolo dell’Islam è stato ed è d’altronde
di particolare rilevanza nel destino e la forma delle pratiche tradizionali
di cura sull’altopiano dogon, progressivamente emarginate
in quanto percepite come vestigia di una religione pagana. Un altro
filone della ricerca concerne la storia e l’eredità
della medicina e della psichiatria coloniale.
L’accordo siglato fra la Mission Culturelle di Bandiagara
(rappresentata dal Dott. Lassana Cissé)
e il Dipartimento di Scienze Antropologiche, Archeologiche
e Storico-Territoriali dell’Università
di Torino, vuole da parte sua contribuire allo scambio
di ricercatori e alla collaborazione scientifica, e promuovere ricerche
intese a valorizzare secondo una diversa prospettiva il “patrimonio
culturale immateriale” della cultura dogon.
Per quanto riguarda la cultura tuareg, da molti
anni Barbara Fiore è impegnata a ricostruire
trasformazioni e continuità seguendo le vicende di alcuni
gruppi insediatisi nella capitale, ma tuttora in stretto rapporto
con le famiglie d’origine. Le difficile condizioni economiche
hanno costituito un potente fattore di rimodellamento, e alcuni
fenomeni emergenti (manifestazioni musicali e culturali che attraggono
periodicamente enormi folle di turisti a Essakan, nel nord del paese)
hanno finito col diventare tempi decisivi nella vita di molte famiglie
e gruppi. I progetti personali e le memorie narrate da alcune tuareg,
così come lo studio di alcune attività artigianali
(bijouterie, lavorazione della pelle) entrano nell’ambito
di questa ricerca mettendo in evidenza la trasmissione di saperi
in contesti spesso difficili.
Nell’insieme, le ricerche in corso hanno
visto mutare non poco strumenti e obiettivi nel corso del tempo.
L’analisi della medicina tradizionale, come è stato
anticipato, diventa necessariamente anche l’analisi di conflitti
silenziosi, violenze oscure (quelle derivanti dalle ineguaglianze
sociali come quelle relative ai dissidi familiari) e mutamenti macrosociali,
e il “patrimonio culturale”, d’altronde, non può
che essere oggetto di valorizzazione che in rapporto a bisogni,
interessi o priorità indicati dagli attori locali.
Pubblicazioni
relative alle ricerche in Mali, Centrafrica e Camerun
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