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Studi
recenti confermano il persistere delle pratiche e discorsi legati alla stregoneria
nel tessuto della vita pubblica e privata di questo paese (Henry 2008).
Si tratta di logiche ed idiomi che anche in Benin sembrano assumere contorni
particolarmente drammatici, come nel caso delle accuse di stregoneria rivolte
ai bambini (Cimpric 2010) e che si diffondono attraverso il sentito-dire,
attraverso il sospetto, il rancore e le loro manifestazioni più deliranti
(Bonhomme 2009). Date queste premesse, e tenuto conto dei lavori precedenti prodotti dalla Missione (una recente missione è stata realizzata da Andrea Ceriana nel dicembre 2010), sembra particolarmente interessante interrogarsi sul ruolo dei culti tradizionali vudu rispetto alla diffusione delle credenze più moderne alla stregoneria. Da un lato, il vudu e il suo apparato rituale e simbolico, appaiono caratterizzati da una ambivalenza di fondo, una “ambiguità ontologica, che si inscrive in un mondo dove non v’è posto per una visione dicotomica della realtà” (Brivio 2008); questa “ambiguità ontologica” non può non richiamare quella di numerosi sistemi di cura tradizionali africani, il cui complesso di saperi e i cui protagonisti – i guaritori tradizionali – sono spesso caratterizzati da una “doppiezza” costitutiva, uno stare sempre in bilico tra le forze positive e quelle più negative, stregonesche, che si vorrebbero combattere (Beneduce 2010). In effetti, non sono mancati in Benin i tentativi di piegare a fini politici i capi dei rituali tradizionali vudu tacciandoli di stregoneria (Sulikowski 1993); tuttavia, delle accuse di stregoneria sono state rivolte anche ai protagonisti della scena politica del paese, dimostrando ancora una volta lo stretto legame che unisce l’idioma della stregoneria e le rappresentazioni condivise del potere politico. Allo stesso tempo, nel mondo del vudu numerose divinità sono specializzate nelle azioni magiche che servono da protezione contro la stregoneria (Henry 2008) e, sebbene anche in questo caso non possano non essere sottolineate talune ambiguità, la larga diffusione del vudu e delle sue pratiche invitano ad una cautela particolare nel proporre qualsiasi accostamento con le credenze alla stregoneria o con il mondo dei guaritori tradizionali. E’ questa una prima, e probabilmente cruciale, differenza rispetto ad altre traiettorie storiche messe in moto dalla “lunga conversazione” con l’Occidente, cui peraltro la Missione ha già consacrato specifiche ricerche etnografiche e d’archivio. In altri termini, la straordinaria vitalità del vudu testimonia di una “conversazione coloniale” ben diversa rispetto a quella di altri contesti equatoriali, dove la “diabolisation” dei culti tradizionali da parte dei missionari ha prodotto un abbandono progressivo delle religioni tradizionali e ha messo in moto logiche e dinamiche di de-possessione e deprivazione assai marcate. Si intuisce anche, da quanto precede, la complessità del cosiddetto “mercato della guarigione” in Benin, cioè di quell’insieme eterogeneo di figure terapeutiche, di pratiche e di saperi che aspirano – in ragione di traiettorie personali più o meno istituzionalizzate – ad una efficacia medica concorrenziale con i saperi e le pratiche della biomedicina occidentale. Ancora una volta, rispetto ad altri terreni di ricerca su cui la Missione è impegnata, il vudu sembra costituire un elemento inedito, a causa dell’ampio riconoscimento ufficiale di cui le pratiche e i saperi vudu godono ma anche, come già sottolineato, per il dialogo che esse istituiscono con altre fonti di autorità che, in Benin, sono impegnate nell’eziologia e nella cura della malattia e del disagio. La missione vorrebbe concentrarsi principalmente 1) sulle attività dei culti vudu e il significato politico e terapeutico dei luoghi di culto e dei feticci, 2) sugli itinerari terapeutici e i saperi tradizionali, 3) sulla dinamiche religiose, 4) sulla relazione fra medicina convenzionale e medicina tradizionale (con particolare riferimento all’ambito della salute mentale e dell’AIDS). |
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